Consulenza ed elaborazione paghe
Lo Studio Mazzoleni & Partners fornisce consulenza sugli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori.
Gli assegni per il nucleo famigliare, detti anche ANF, spettano alle famiglie di lavoratori dipendenti e assimilati iscritti alla gestione separata (co.co.co), ai pensionati, ai lavoratori disoccupati, in cassa integrazione, in mobilità e ai lavoratori domestici.
È essenziale che il reddito complessivo del nucleo famigliare sia composto per almeno il 70% da reddito derivante da lavoro dipendente o assimilato.
I lavoratori dipendenti percepiscono gli assegni per il nucleo famigliare direttamente in busta paga, con cadenza mensile; per i soggetti diversi dai lavoratori dipendenti (ad esempio colf o disoccupati), gli assegni sono corrisposti dall’Inps.
[Gli assegni al nucleo famigliare] Per poter percepire l’assegno, quali adempimenti devono essere osservati?
Il richiedente deve presentare apposita domanda, da consegnare al datore di lavoro, utilizzando il modulo reperibile sul sito dell’Inps ‘mod. Anf Dip. SR16’; il periodo di riferimento decorre generalmente dal 1° luglio dell’anno corrente sino al 30 giugno dell’anno successivo. Per i soggetti che ricevono il pagamento diretto dall’Inps, la domanda va inoltrata telematicamente all’Istituto accedendo con le proprie credenziali nell’area riservata del cittadino (ovvero avvalendosi dell’assistenza di un caaf o patronato).
Qualora l’Anf venga richiesto per i figli di separati, divorziati o i figli naturali riconosciuti da entrambi i genitori, i fratelli e/o sorelle, i nipoti, i famigliari inabili (per i quali non sia già documentata l’invalidità al 100%) ovvero per i famigliari residente all’estero, è necessario ottenere la preventiva autorizzazione dall’Inps. In tal caso il richiedente dovrà compilare e inviare all’Inps l’apposito modello (Anf 42 o Anf 43).
Annualmente l’Inps pubblica apposite tabelle indicanti l’importo degli assegni Anf, variabile in dipendenza della composizione del nucleo famigliare e del reddito complessivo dello stesso.
[Gli assegni al nucleo famigliare] Quali redditi vengono presi in considerazione per il calcolo del reddito complessivo?
Il reddito complessivo comprende tutti gli importi percepiti dal richiedente e dalle persone che compongono il nucleo famigliare; viene preso a riferimento il reddito dell’anno solare precedente al 1° luglio di ogni anno.
Ad esempio, per il periodo 1° luglio 2018 – 30 giugno 2019 il reddito di riferimento è costituito da quello prodotto nel 2017.
Alcuni redditi tuttavia vanno esclusi: non si considerano, ad esempio, le indennità di accompagnamento agli inabili, le indennità di frequenza, i trattamenti di fine rapporto, gli arretrati di integrazioni salariali.
In generale, anche se non conviventi con il richiedente o non a carico dello stesso, vengono ricompresi nel nucleo famigliare i seguenti famigliari:
- il richiedente l’assegno;
- il coniuge non legalmente ed effettivamente separato;
- i figli di età inferiore ai 18 anni;
- i nipoti viventi a carico di ascendente diretto di età inferiore ai 18 anni;
- i figli maggiorenni con inabilità fisica o mentale, impossibilitati a dedicarsi ad un lavoro;
- i fratelli e/o sorelle e nipoti collaterali del richiedente minorenni ovvero maggiorenni inabili purché orfani di entrambi i genitori e non percettori di pensione ai superstiti.
I nuclei famigliari aventi almeno tre figli minori possono ottenere un ulteriore assegno, purché il reddito non superi determinate soglie previste annualmente dalla legge. Tale importo viene riconosciuto dal Comune di residenza e viene corrisposto in un’unica soluzione per tredici mensilità.
La richiesta deve essere inoltrata entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento al comune, il quale una volta definita la pratica comunicherà all’Inps i dati necessari per il pagamento.
[Gli assegni al nucleo famigliare] Mi sono dimenticato di presentare la domanda di Anf; ho ancora diritto a percepirli?
Il diritto alla percezione degli Anf si prescrive in 5 anni; è quindi possibile percepire gli arretrati degli Anf fino a 5 anni prima, previa compilazione e presentazione dei modelli Anf Dip SR 16.
Si verifica la fattispecie di lavoro irregolare quando il datore di lavoro si avvale dell’opera di un lavoratore e non ha provveduto ad effettuare la comunicazione telematica al centro per l’impiego territorialmente competente (invio del Modello Unilav).
[Il lavoro irregolare] Quali sono i rischi per un datore di lavoro che si avvale dell’opera di un lavoratore ‘in nero’?
Le sanzioni per i datori di lavoro che utilizzano lavoratori irregolari sono particolarmente onerose; si rischia di dover assumere il lavoratore dal primo giorno di lavoro ‘in nero’, di pagare la maxi sanzione per lavoro irregolare e nei casi più gravi di dover sospendere l’attività lavorativa.
La sanzione pecuniaria varia da un minimo di 1.800,00 euro a un massimo di 43.200,00 euro per ogni lavoratore ‘in nero’.
La sanzione viene parametrata alla durata del rapporto di lavoro intercorso e viene così calcolata:
- sanzione da 1.800,00 euro a 10.800,00 euro sino a 30 giorni;
- sanzione da 3.600,00 euro a 21.600,00 euro fra 31 e 60 giorni;
- sanzione da 7.200,00 a 43.200,00 euro per lavoro oltre i 60 giorni.
La sanzione è maggiorata del 20% qualora ad essere impiegato sia un lavoratore minorenne o straniero.
Il datore di lavoro può, in seguito ad accesso ispettivo, adempiere alla diffida ispettiva e regolarizzare la propria posizione provvedendo all’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato o determinato con contratto di almeno tre mesi (i 90 giorni vanno calcolati al netto del periodo di lavoro nero, che deve essere comunque regolarizzato, quindi il rapporto di lavoro deve decorrere dal primo giorno di lavoro in nero e il dipendente va mantenuto in servizio per almeno 90 giorni). Inoltre il datore dovrà espletare tutte le formalità previste (istituzione e/o compilazione del Libro Unico del Lavoro, comunicazione al Centro per l’Impiego, consegna della lettera di assunzione etc.).
[Il lavoro irregolare] Sono previsti sconti di sanzione per il datore di lavoro che adempie alla diffida ispettiva?
Il datore di lavoro che adempie alla diffida ispettiva viene ammesso al pagamento della sanzione nella misura minima.
Il datore di lavoro rischia la sospensione dell’attività lavorativa qualora più del 20% dei lavoratori in organico sia irregolare.
Il linea generale il lavoratore è esposto a rischio soprattutto nei casi in cui beneficia di ammortizzatori sociali (quali ad esempio l’indennità di disoccupazione).
In tal caso, proprio perché ha dichiarato ingiustamente di essere disoccupato, può essere accusato in primis di reato di falsa dichiarazione commessa dal privato in atto pubblico (punibile con la reclusione fino a 2 anni). Inoltre, in ragione della percezione indebita dell’ammortizzatore sociale rischia, a seconda dell’importo dello stesso, l’arresto da 6 mesi sino a 3 anni ovvero l’applicazione di una sanzione amministrativa (da minimo 5.164,00 euro a 25.822,00 euro).
In aggiunta il lavoratore decadrà dal beneficio di percepire l’ammortizzatore sociale, con il rischio di dover restituire le somme percepite oltre a risarcire i danni all’INPS.
Il pensionato che lavora in nero potrebbe essere chiamato a versare all’Agenzia delle Entrate l’importo IRPEF non pagato. Il reddito da lavoro percepito irregolarmente viene cumulato con quello da pensione e, su questa somma, va calcola l’eventuale nuova aliquota IRPEF da applicare.
Nel caso in cui una famiglia si avvalga di un collaboratore domestico ‘in nero’ rischia una sanzione amministrativa da 200,00 euro a 500,00 euro per mancata comunicazione dell’assunzione, alla quale si aggiunge la sanzione civile per omesso pagamento di contributi pari al 30% degli stessi non versati, con un minimo di 3.000,00 euro e la sanzione per mancata comunicazione e iscrizione all’inps.
Qualora il collaboratore sia privo di un permesso di soggiorno il datore rischia l’arresto da 3 mesi a 1 anno e una sanzione fino a 5.000,00 euro.
[Il lavoro in ambito famigliare] L’imprenditore può avvalersi dell’aiuto a titolo gratuito di un famigliare? In tal caso, è necessaria l’iscrizione all’Istituto Previdenziale?
La collaborazione prestata in ambito famigliare, in via generale, si presume resa in virtù di un’obbligazione ‘morale’, senza riconoscimento di un corrispettivo quindi espletata a titolo gratuito. Affinché venga escluso l’obbligo di iscrizione ad un ente previdenziale è essenziale che la stessa abbia natura occasionale, secondo le indicazione fornite dal Ministero e dall’Ispettorato del Lavoro.
Il Ministero del Lavoro considera innanzitutto ‘presuntivamente’ occasionali le prestazioni rese da un pensionato o da un famigliare occupato a tempo pieno, proprio in virtù della scarsa volontà o dell’impossibilità ad impegnarsi in modo continuativo in un attività lavorativa; ciò significa che spetta all’Ispettorato dimostrare, con idonea documentazione probatoria, la presenza di una vera e propria ‘prestazione lavorativa in senso stretto’.
[Il lavoro in ambito famigliare] Qualora invece ci si avvalga dell’opera di un famigliare non pensionato o non occupato a tempo pieno, quali disposizioni devono essere osservate?
Nel settore dell’artigianato e dell’agricoltura il d.l. 269/03 e il d.lgs. 276/03 considerano occasionale la prestazione:
- resa da un parente entro il terzo grado (quarto grado per il settore agricolo);
- per un periodo complessivo non superiore a 90 giorni annui;
- senza corresponsione di compenso, quindi a titolo gratuito;
- prestata in sostituzione dell’imprenditore in caso di sua temporanea impossibilità nell’espletare l’attività lavorativa.
Per quanto concerne il settore del commercio, pur non essendovi una espressa previsione normativa, l’art. 29 della l.160/75 e s.m.i. prevede l’obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa solo per i famigliari che prestano la propria attività con carattere di abitualità e prevalenza; restano pertanto esclusi dall’iscrizione all’ente previdenziale i famigliari che prestano attività occasionale e gratuita.
[Il lavoro in ambito famigliare] In tali casi, vi sono dei parametri di riferimento per ritenere una prestazione occasionale?
Il Ministero del lavoro ritiene occasionale la prestazione resa per non più di 90 giornate nel corso dell’anno. Nei settori diversi dal commercio, dall’artigianato e dall’agricoltura i 90 giorni possono essere frazionati a ore, nel limite di 720 ore annue.
Inoltre non è necessario che il titolare sia impossibilito a prestare la propria attività, essendo sufficiente che lo stesso sia impegnato in altre attività.
[Il lavoro in ambito famigliare] In caso di accertamento, l’Ispettore può contestare l’occasionalità della prestazione?
I parametri delle 90 giornate o 720 ore annue non operano i termini assoluti ma possono essere contestati in sede ispettiva; l’Ispettore dovrà tuttavia motivare, con prove oggettivamente evidenti, che si tratta di una prestazione non occasionale ma resa con abitualità e prevalenza.
[Il lavoro in ambito famigliare] L’imprenditore può instaurare un rapporto di lavoro in senso stretto con il famigliare?
È sempre possibile per l’imprenditore instaurare un rapporto di lavoro, con corresponsione di un compenso, stipulando un rapporto di lavoro subordinato o autonomo.
Si considerano parenti entro il terzo grado: i genitori, i figli, i nonni, i fratelli e sorelle, i nipoti figli dei figli, i bisnonni e gli zii, i nipoti figli di sorelle o fratelli.
Si considerano affini entro il terzo grado: i suoceri, i nonni e bisnonni del coniuge, gli zii del coniuge, i nipoti figli dei cognati.
[Licenziamento/dimissioni della lavoratrice madre o del lavoratore padre]
È possibile licenziare una lavoratrice madre?
L’art. 54, c. 1 del D.Lgs. 151/01 prevede il divieto di licenziamento per le lavoratrici madri durante il c.d. ‘periodo protetto’, ovvero per tutta la durata della gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino. Tale divieto si estende anche al lavoratore padre, qualora usufruisca del congedo di paternità, sempre fino al compimento di un anno di età del bambino.
[Licenziamento/dimissioni della lavoratrice madre o del lavoratore padre]
Qualora fosse invece la lavoratrice o il lavoratore genitore di un figlio di età inferiore ad un anno a volersi dimettere?
Qualora fosse il lavoratore a volersi dimettere durante il periodo protetto, lo stesso non sarà tenuto ad osservare il periodo di preavviso ed avrà il diritto di ricevere la relativa indennità sostitutiva.
[Licenziamento/dimissioni della lavoratrice madre o del lavoratore padre]
Alla lavoratrice o lavoratore dimissionario durante il periodo protetto spetta la Naspi (indennità di disoccupazione)?
Sì, al lavoratore dimissionario spetta la Naspi; per tale motivo, il datore di lavoro è tenuto a versare all’INPS il ticket Naspi (€ 489,95 per ogni anni di servizio sino ad un massimo di tre).
[Licenziamento/dimissioni della lavoratrice madre o del lavoratore padre]
La lavoratrice madre o il lavoratore padre devono osservare una particolare procedura per potersi dimettere dal rapporto di lavoro?
L’art. 26 del D.lgs. 151/15 prevede la convalida delle dimissioni presso l’Ispettorato Provinciale del lavoratore nelle seguenti ipotesi:
- lavoratrice durante il periodo di gravidanza;
- lavoratrice o lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino;
- lavoratrice o lavoratore nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o affidato.
[TFR e previdenza complementare]
Quali scelte può effettuare il lavoratore in merito alla destinazione del TFR?
Il lavoratore dipendente può optare per lasciare il TFR in azienda oppure versarlo ad un fondo pensione (c.d. previdenza complementare).
Il lavoratore potrà comunicare la propria scelta compilando l’apposito Modello TFR2, generalmente rilasciato dal datore di lavoro all’atto dell’assunzione. In caso di mancata scelta entro 6 mesi dall’assunzione scatta il silenzio-assenso ed in tal caso il TFR viene automaticamente versato al fondo previdenziale previsto dal contratto collettivo, al fondo pensione a cui ha aderito il maggior numero di lavoratori dell’azienda ovvero al fondo pensione costituito presso l’inps.
Qualora il lavoratore abbia optato per mantenere il TFR in azienda può in qualsiasi momento destinarlo ad un fondo pensione; qualora invece il dipendente abbia conferito il TFR ad un fondo pensione avrà la possibilità di variare il fondo ma non potrà più decidere di lasciarlo in azienda.
No; nelle aziende con oltre 50 dipendenti, se il lavoratore opta per il mantenimento del TFR in azienda, lo stesso viene automaticamente versato e gestito dal Fondo di Tesoreria Inps ed in tal caso vengono applicate le tradizionali regole di gestione del TFR; per l’eventuale richiesta di anticipi o per la liquidazione del TFR all’atto della cessazione del rapporto, il lavoratore dovrà sempre rivolgersi al Datore di Lavoro.
Per le aziende fino a 49 dipendenti vi è ancora la possibilità di applicare la vecchia normativa e quindi mantenere il TFR in azienda.
Il lavoratore si può rivolgere a due tipologie di fondi pensione: i fondi pensione negoziali e i fondi pensione aperti. I primi sono quelli costituiti da banche, assicurazioni o altri intermediari mentre i secondi sono collegati ai contratti collettivi di lavoro e sono destinati a particolari categorie di lavoratori.
[TFR e previdenza complementare]
Il lavoratore che aderisce ad un fondo pensione, ha la possibilità di effettuare versamenti volontari aggiuntivi rispetto al TFR?
Si, il lavoratore ha la facoltà di effettuare versamenti volontari; qualora abbia aderito al fondo di categoria previsto dal CCNL, ed effettua un versamento volontario, il datore di lavoro sarà tenuto a contribuire con un’ulteriore quota, aggiuntiva rispetto al TFR, a favore del dipendente.
[TFR e previdenza complementare]
Il lavoratore che aderisce alla previdenza complementare può chiedere anticipazioni del TFR?
Si, il lavoratore può richiedere anticipazioni del TFR secondo le regole proprie di ciascun fondo pensione.
[TFR e previdenza complementare]
Il lavoratore che ha optato per la previdenza complementare, quando andrà in pensione, potrà ritirare il capitale accumulato?
Generalmente quando il lavoratore andrà in pensione gli verrà erogata dal fondo la ‘pensione complementare’, ovvero la rendita calcolata sul montante accumulato.
In alternativa potrà chiedere il versamento del 50% del capitale accumulato ed il rimanente 50% in rendita.
Qualora il montante produca un rendita al di sotto di determinati limiti (50% dell’assegno sociale), il pensionato potrà richiedere il versamento dell’intero capitale.
[TFR e previdenza complementare]
Sono previste agevolazioni per il lavoratore che aderisce alla previdenza complementare?
L’erogazione del TFR versato ai fondi pensione viene tassato con un aliquota variabile dal 15% al 9% (a seconda dell’anzianità contributiva), mentre la tassazione ordinaria prevista per il TFR lasciato in azienda o versato al fondo di tesoreria Inps è del 23%.
[TFR e previdenza complementare]
In caso di insolvenza del Datore di Lavoro nel pagamento del TFR, come può tutelarsi il lavoratore?
Il lavoratore e i suo aventi diritto possono presentare alla sede Inps territorialmente competente la richiesta di intervento al Fondo di Garanzia Inps, il quale si sostituisce al Datore di Lavoro nell’erogazione del TFR.
Il fondo di garanzia interviene anche in caso di mancato versamento del TFR al fondo pensione da parte del Datore di Lavoro.