Roberto Mazzoleni, parte seconda: il commercialista
Di Roberto Mazzoleni, 11 Febbraio 2015
Io faccio il commercialista. Forse nella vita non sarei stato capace di fare altro.
In gioventù ho provato a lavorare nei cantieri edili: ma si sa, lì la fatica fisica è veramente tanta! E allora ho provato a stare dietro a una scrivania. Assodato che il disegno sia creativo che tecnico non fa per me, e che per fare il notaio o l’avvocato avrei dovuto studiare molto di più, ho scelto di fare il commercialista.
Ma, in fondo, che fa il commercialista?
Per tanti il commercialista è il classico “ragioniere”, impegnato da mattina a sera a inserire fatture nel software e a litigare con la “partita doppia”. Per altri è colui che risolve tutti i problemi che sorgono in un’azienda, come una sorta di Superman. Per altri ancora è il confessore, in grado di far uscire dallo studio il cliente sollevato grazie alla sua “benedizione”.
Iniziamo col dire che il commercialista è colui che per fare ciò ha comunque studiato, ha superato un esame di Stato, si è iscritto a un ordine professionale e ogni anno ha l’obbligo di fare formazione professionale continua. E scusate se aggiungo ciò, ma troppo spesso sento definire “commercialisti” coloro che tutti questi requisiti non ce li hanno. Poi, per l’amor di Dio, la categoria dei commercialisti è talmente vasta che puoi trovare un soggetto iscritto che sia molto peggio di uno che svolge tale professione senza i requisiti di legge… ma questo è tutto un altro discorso.
Secondo me il commercialista deve avere, ancor prima della necessaria preparazione di base, un approccio personale adeguato.
Deve innanzitutto essere paziente. Nell’arco di una giornata io affronto colloqui (personali, telefonici, tramite email) con almeno un centinaio di persone diverse. Se non fossi una persona paziente credo che già al terzo colloquio manderei qualcuno a quel paese!
Deve ispirare fiducia e riservatezza. La mia sala riunioni è una camera caritatis. E non solo perché è un obbligo deontologico, ma perché la mia figura professionale deve garantire un rapporto fiduciario assoluto. Nei miei mandati, a differenza di tanti colleghi, non è previsto un periodo di preavviso se un cliente mi vuole mollare. Quando non gli piaccio più me lo comunica e se ne va, senza che io gli metta i bastoni tra le ruote. Questo è un mio principio cardine che ho sempre messo in pratica nelle, per fortuna, poche volte che in tutti questi anni di attività mi è successo.
Poi deve essere preparato senza essere un tuttologo. Faccio il commercialista, ma non sono né notaio, né avvocato, né geometra. Posso fornire alcuni suggerimenti, ma non avventurarmi in sentieri che non mi competono. Credo che questo sia sinonimo di serietà professionale.
Ma, soprattutto, non sono colui che registra le fatture. È riduttivo, e se un cliente pensasse questo di me mi sentirei quasi offeso. A me piace fare il commercialista perché mi sento vicino all’imprenditore nelle sue scelte, perché posso esprimere le mie valutazioni, perché posso dare un consiglio sulla base dei dati e della mia esperienza. Non c’è nulla di più appagante che incontrare un cliente che entra nel tuo studio pieno di dubbi e incertezze, per poi uscirne con delle risposte concrete e un percorso da seguire.
Ecco, questo per me è il commercialista. Questo è ciò che amo della mia professione.
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